L’affresco centrale rappresenta il salvataggio di san Placido da parte di san Mauro. I due sono monaci benedettini e discepoli prediletti di san Benedetto, amici fin dall’infanzia. La storia, narrata da san Gregorio Magno nei Dialoghi, Libro II, cap. 7, racconta che Placido venne lasciato a sette anni dal padre Tertullo all’abate del monastero di Montecassino come “offerto”; infatti, la Regola di San Benedetto prevedeva che l’educazione dei bambini avvenisse in monastero non in qualità di allievi ma di oblati, destinati a divenire in età adulta dei professi. Anche Mauro venne affidato dodicenne a Benedetto da Norcia dal padre, il patrizio romano Eutichio. Un giorno, mentre Benedetto sedeva nella sua stanza, il giovane Placido uscì ad attingere l’acqua nel lago. Immergendo il secchiello, venne trascinato dalla corrente e cadde nell’acqua. Un’onda lo travolse trasportandolo lontano da terra, allora san Benedetto, sapendo ciò che stava succedendo benché chiuso nella cella, chiamò Mauro e gli chiese di andare a salvare Placido perché stava annegando. Nella scena [fig. 4] si possono vedere i due santi, Placido ancora col secchio in mano dentro l’acqua trasparente, Mauro in piedi mentre lo trascina via salvandolo. Dietro, il paesaggio continua, essendo L. Pozzoserrato particolarmente abile nelle vedute panoramiche con prospettiva “a volo d’uccello”: il fiume corre sino a una chiesa con annesso un monastero, i quali si trovano ai piedi di una collina, a sua volta sotto montagne rocciose. Il panorama si perde in lontananza, ma si vedono bene i dettagli senza che si perda lucidità di visione, come una casa sulla destra, un borgo, un pontile, due monaci sulla sinistra che camminano verso il campanile (in I Benedettini a Padova 1980 si azzarda l’ipotesi che, annullandosi le leggi del tempo e dello spazio, siano essi stessi i santi Mauro e Placido ritrovatisi dopo l’evento miracoloso alle porte del convento). L’architettura, come la Basilica e l’Abbazia dei riquadri laterali, dovrebbe essere reale, sebbene non si sappia con certezza a che complesso appartenga. San Mauro fondò in Francia monasteri maurini benedettini, perciò è verosimile che chiesa e monastero assomiglino o facciano parte di complessi benedettini della Loira, come afferma anche Pattanaro, proponendo un confronto con l’Abbazia di Saint-Maur de Glanfeuil, l’Abbazia di San Benedetto sulla Loira o Saint Laurent-des-Pres a Tullins [fig. 5], sebbene in Magnificenza monastica 2020 si faccia riferimento piuttosto a un’architettura romanica con sviluppo orizzontale, tetto a carena e lesene; non tornerebbe però l’inserzione del campanile al centro del frontone. Nello stesso catalogo si assume il recupero di un monumento antico nell’affresco: la formazione rocciosa in fondo a destra [fig. 6] sarebbe una torre cilindrica conosciuta come Tomba o Mausoleo di Cecilia Metella [fig. 7], sulla via Appia a Roma, simbolo delle vestigia romane molto amate dai pittori fiamminghi. Il tema del dipinto si collega alla funzione del supporto: l’acqua del fiume appare come la fonte da cui proviene l’acqua del lavamani, con cui i monaci dovevano pulirsi ritualmente prima della vestizione in sagrestia (nelle Instructionum fabricae et suppellectilis ecclesiasticae di Carlo Borromeo del 1577, come riportato in Pattanaro 2022, si prescrive che in sacrestia vi sia sempre un lavabo con uno scarico che porti l’acqua all’esterno, corredato da un asciugamano bianchissimo). La struttura della fontana [fig. 8] è altrettanto particolare: l’acqua esce dalle bocche di tre mascheroni [fig. 9] rappresentanti Mosè1 e/o Giove Ammone2, simboli di fertilità; la fertilità si collega alla nascita, che a sua volta è legata all’acqua, elemento fondamentale per la vita. Si precisa che la critica precedente cita piuttosto delle “protomi a forma di satiro finemente lavorate e caratterizzate da espressioni leggermente diverse” quando tratta dei tre mascheroni (Magnificenza monastica 2020).